Utopie?

Ieri sera ho letto in radio un piccolo testo corto composto per i 150 anni dell’unita’ d’italia e gia’ pubblicato su “altrove”, una mia raccolta di testi pubblicata da Farandula qualche anno fa.

Nel rileggerlo lo ho trovato abbastanza caruccio, da ripubblicare anche qui, per chi se lo sia perso in radio.

Quelli a cui puo’ interessare il libro per intero, giacche’ l’editore (farandula, di Reggio Calabria), che era onesto e intelligente non c’e’ piu’, possono trovarlo in print on demand su lulu.com oppure scaricare qui il pdf (ssssst e’ un segreto)

fredd

150 di questi giorni

L’Italia è una Penisola bagnata dal mare… che si libererà delle sue autostrade per usare di nuovo i suoi magnifici porti. Le merci saranno portate da navi a idrogeno e a vela anziché da TIR a gasolio.
E ne gireranno molte meno, perché sarà poco richiesto distribuire troppo lontano le cose, e fare pacchi piccoli.

L’Italia confinerà sì a nord con le Alpi, ma a sud ci si ricorderà dell’Africa. E tante belle navi solcheranno un Mediterraneo aperto portando gente merci e profumi di nuovo in Europa e viceversa, liberamente.

L’Italia si libererà delle periferie, degli ipermercati, delle mafie, dei ladri, dei governi e delle leggi, insieme al petrolio e agli americani coi loro missili e la loro CIA. La cucina nazionale sarà arricchita di mille piatti, di mille spezie, di mille prodotti nuovi e antichi, biologicamente coltivati e etnicamente contaminati. E sarà buonissima. Cuochi italiani imporranno di nuovo la cucina migliore del mondo ovunque, e sarà differente e geniale.

L’Italia sarà allora un Paese di giovani, in cui i vecchi saranno rispettati e tenuti in cortile, al sole, a poltrire, ma alla fine non conteranno più un cazzo. Ciò perché il potere sarà in mano alle femmine, donne enormi, benevole, potenti, dalle ossa grosse, dal cervello fino, e dalle mani grandi, capaci di mettere a tacere a sberle l’insolenza di un villano. Non si preoccuperanno più troppo delle canottiere e delle giacchette di figli sof- focati. Li lasceranno giocare nei cortili, nelle aie delle nuove case-agricole, per richiamarli all’ora della merenda dentro le grandi cucine collettive che comandano come un ammiraglio la propria portaerei e da cui controllano la nazione-villaggio.

Gli Italiani di quel giorno, gialli, bianchicci, nerastri, neri e figli di Annibale sapranno tutti fare qualcosa. Innestare un albero, potare la vigna, costruire un tavo- lo, un’antenna, una macchina a vapore, un network di wireless. E si scambieranno le loro abilità e conoscenze liberamente, tramite una rete di contatti e amicizie che renderà più pratico il baratto del danaro e del lavoro stipendiato. Chi saprà fare, da suonare uno strumento a riparare una bici, sarà ricco. E avrà il tempo per godersi la vita facendo cose belle.

Gli Italiani saranno ancora richiesti in tutto il mondo per costruire cose belle. Non più un bello imposto da altri italiani morti, ma il bello che hanno appreso dalla natura della loro Penisola, dalla loro lingua arzigogo- lata e complessa adatta a rappresentare sfumature, a fare ghirigori tra due significati, a inventare metafore impossibili. E soprattutto sempre più ricca di termini nuovi: di poesia araba, di metafore africane, di tecnici- smi cinesi impreziositi da voci incredibili. Voci italiane schioppettanti di dialetti sonori e beffardi o sottili e sibillini.

E poi so già che la Penisola sarà percorsa da persone a piedi, in bicicletta elettrica o a cavallo e non più da automobili. Qualche scienziato italiano avrà persino trovato il modo di far sì che i batteri mangino l’asfalto e lo trasformino in humus. E allora autostrade, svincoli e rotonde saranno campi, anacronistici piazzali per giochi, prati e campi fioriti.

I ragazzetti italiani non giocheranno più al calcio, che sarà caduto in disuso allora, ma al rugby, alla lotta e a mille giochi strambi, conditi a volte da sassaiole fra tifoserie avverse, che pochi schiaffoni delle femmine arbitro potranno facilmente mitigare. Il termine SPORT, obsoleto e anacronistico, non lo userà più nessuno, mentre le carcasse delle televisioni, in attesa che qualcuno trovi il batterio giusto per digerire la plastica e il vetro, serviranno a far giocare le galline nei pollai. Gli italiani di allora saranno tutti magri, perché dovranno correre tutto il giorno in salite e in discesa e non sapranno più neppure che vuol dire essere grassi e invidiosi.

Come gli ebrei di Mosè nel deserto, noi saremo tutti già morti allora.
Forse in tutta la Penisola di Italiani ne saranno rimasti un 20 per cento, senza bisogno di guerre o rivolu- zioni, solo perché gli ItaGLIani tristi, quelli di prima, un po’ pensavano solo a scopare e non a far figli, servi del loro stesso edonismo cretino, e un po’ morirono di fame, senza fare troppo rumore, nei parcheggi degli ipermercati. Fu quando mancò la luce per sei mesi nel grande cataclisma del 2020. Ma gli ItaGLIani di prima, quelli un po’ stupidi e ladri e che si sono estinti, non mancano a nessuno…

A scuola, vicino all’albero di ciliegie, ci sarà qualche ragazzino che sogna leggendo Calvino, Marinetti o Pasolini e sarà fiero di quella lingua piena di glorie che usa ancora per fermare ciò che sa essere bello e scrivere poesia anche in una lista della spesa.

Quel giorno qualcuno leggerà o guarderà sottobanco nel suo microcinemaportatile anche un “Bonelli”, trovandolo un po’ fuori moda, arzigogolato, o esageratamente surreale, eppure godendo del suo piccolo peccato. Un buon Bonelli, di quelle letture che al liceo ti proibiscono perché son “frivole”, che la mamma censura a ceffoni, ma che sotto sotto approva, ricordando di come tuo padre la sedusse, spacciando per farina del suo sacco una sua poesia.

Author: fredd

Alchemist, enzyme or philosopher by fire, My expertise is creative research, a term without boundaries. I am interested in developing talent mentoring and consulting. Sometimes it involves walking in the woods blindfolded. https://www.linkedin.com/in/federicobonelli/

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