Sabato mattina, metto le scarpe e vado a fare una passeggiata sulla spiaggia, verso ponente.
Una bimba gioca con la sabbia, la sua nonna seduta sui gradini la osserva. Poco sopra di me, sulla passeggiata, un signore parla al telefono, una donna e un uomo in età avanzata chiacchierano seduti su una panchina. La mareggiata ha distrutto il lavoro che ha fatto la ruspa la settimana scorsa. Pezzi di legno, tronchi d’albero e aghi di pino sono ovunque. Profumo di vernice, c’è chi pittura le porte delle cabine mentre qualcun altro fa pulizia nel chiosco. Proseguo, operai al lavoro con blocchi di cemento autoportanti costruiscono le cabine sotto la passeggiata. Sento il trapano affondare la punta nel legno, poi la sega circolare. Due uomini spalano sabbia alternandosi con ritmo. Continuo a camminare fino in fondo dove le onde si infrangono contro una scala in ferro sgangherata e fuori uso, le cabine invase da detriti sono chiuse con reti elettrosaldate sovrapposte, arrugginite e malamente legate. Ritorno. Un elicottero si avvicina, proprio sopra di noi fa inversione di rotta e si allontana rapidamente. Il cielo è grigio, il vento cresce un po’, scendono gocciole rade. Tolgo le scarpe, metto un piede davanti all’altro nell’acqua di sale, cic ciac cic ciac cic ciac, sabbia fine, poi sassi e dolore sotto ai piedi che sale su e la gioia nel cuore.