Rigonia sogna: cuore di tenebra

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Quando ho aperto gli occhi ero sulla barca che risaliva la corrente del fiume Congo, con il motore che faceva un baccano infernale e il chiasso della gente che Alistaire usava portarsi dietro. Avevo sognato di quando avevo sentito parlare della Bestia per la prima volta. Ero al Club, come ogni venerdì sera, e bevevo brandy, con grande compiacimento. Ridevamo di gusto perché era una storia di paura e gli uomini ridono davanti alle storie di paura. C’era un gentiluomo che era da poco tornato dall’Africa nera per affari e che ci raccontava di come questo diplomatico avesse completamente abbandonato il progetto di riportare alla calma una sua cameriera che aveva saputo che nei pressi del suo villaggio, nel bel mezzo della foresta, la Bestia aveva deciso di stabilire la sua area di caccia. E il diplomatico spiegava con dovizia di particolari come il popolo considerasse la Bestia un pericolo quasi sovrannaturale, attribuendogli un’intelligenza assolutamente umana e una forza e una crudeltà che invece andava anche oltre l’umano. Il gentiluomo ricordava con grande piacere come il diplomatico avesse organizzato una bellissima serata per lui e di una cena squisita, nella quale gli aveva servito la carne di suo fratello che, rammentava con tono grave, purtroppo avevano dovuto abbattere. Quando il sogno virò su dettagli così cruenti e conturbanti mi svegliai di soprassalto. Vidi che Alistaire Crooke fissava avanti a sé con lo sguardo risoluto. Nella realtà dei fatti, non ci fu nessun pasto cannibalico, ma la discussione sulla Bestia, quella volta al Club, prese una piega di approfondito naturalismo. La voce di Lord Crooke emerse tra le più autoritarie e competenti in merito alle specie di grandi felini presenti nelle foreste più nere dell’Africa. Lord Alistaire era un noto cacciatore: di bestie pericolose, di tesori, di avventure, di vizi e di donne. Un uomo che il Club adorava, perché con la sua presenza magnetica era in grado di risvegliare quella platea di uomini grassi e avvinazzati, storditi dalla ricchezza e dal potere che aveva tolto loro qualsiasi forma di gioia nell’esistenza. Quando Crooke si presentava, una volta ogni sei mesi, per raccontare dei suoi nuovi fantasmagorici viaggi, la platea pendeva dalle sue labbra.

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Avevo deciso di seguire Lord Alistaire Crooke in questa avventura… perché sì. Lui aveva rifiutato sulle prime, ma Crooke era in debito con me, perché tanti anni addietro una bellissima donna che ero in procinto di sposare fece la sua conoscenza durante una serata mondana. Io pensavo che lei lo conoscesse già. Diamine, pensavo che tutte le donne di Londra conoscessero Lord Crooke. E invece no, la sua fama non era mai giunta alle orecchie di lei. Fatto sta che lei fu irrimediabilmente attratta da lui e il mio matrimonio sfumò. Io all’epoca non feci scandali e non pretesi nessuna forma di ricompensa per il mio orgoglio violato. Questo gesto fu mal visto in società e trascorsi qualche anno a ricostruirmi una reputazione; e tuttavia sapevo che un giorno quella grazia che io feci a Lord Crooke (anche se sapevamo entrambi che io la facevo a me stesso: perché, l’avessi sfidato a duello, sarei certamente uscito sconfitto), quella grazia mi avrebbe fruttato un vantaggio in una circostanza importante. Gli dissi che non poteva negarmi di andare con lui alla caccia della famigerata Bestia (o Belva) della foresta nera dell’Africa centromeridionale. Lui provò a dissuadermi ma senza energia. Sapeva che non poteva negarmelo e, d’altro canto, non gliene importava nulla di quello che mi sarebbe potuto accadere, lui sarebbe partito lo stesso. Più che altro, era preoccupato all’idea che un novellino lo rallentasse durante la caccia, o che qualche gesto imprudente tradisse il loro vantaggio. A me non aveva particolarmente ferito l’idea di non sposarmi, perché ero giovane e non ero affatto pronto. Tuttavia quella ragazza aveva davvero lineamenti e portamento di altissima classe, e questo mi aveva un po’ seccato. Avevo cercato a lungo qualcosa distogliesse la mia mente dalla condizione di noia nella quale anche io versavo – noia che mi azzannava alle caviglie e produceva una frustrante insoddisfazione, verso la vita in generale e Londra in particolare, con la sua tediosa e snervante socialità ingabbiata. Avevo trent’anni e dovevo confrontarmi con me stesso. Dopo il servizio militare non ero mai partito per il fronte, non avevo mai potuto guardare dritto negli occhi e sconfiggere le mie paure. Era arrivato il momento di rivalermi di questa mia grottesca condizione borghese, e dimostrare il mio valore come uomo.

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Alistaire Crooke, durante il nostro viaggio, ha dimostrato una natura ben diversa da quella di elegante e distinto viveur sfoggiata nei nostri eleganti venerdì sera londinesi al circolo degli industriali. L’uomo silenzioso e sfuggente, così carismatico da poter mancare anche per mesi ai nostri incontri, e poi tornare e riprendersi (senza nessuno sforzo) il centro della scena, ho scoperto essere un uomo collerico e rude, violento e aggressivo. La dimensione della caccia gli permetteva di esprimere con estrema genuinità i suoi lati più ferini. Apostrofava la servitù con parole piene di disprezzo e di alterigia, e ricorreva con estrema frequenza, solerzia (e forse, anche, con una nota di gusto?) all’uso della frusta o del bastone per punire chi non rispondeva ai comandi con la dovuta rapidità, o chi commetteva l’errore sbagliato al momento sbagliato. A volte, picchiava e abusava per puro divertimento. Un’altra cosa che lo divertiva molto era sparare col fucile. C’era della compulsione, in quell’atto, un’impellente necessità dettata dall’impazienza. Di tanto in tanto sentiva il bisogno di sparare. Al cielo, agli uccelli. In acqua, ai pesci. Nella foresta, contro qualunque bestia gli capitasse a tiro. Del resto, mi aveva detto più d’una volta, il vero obiettivo era la Bestia, e fin quando non eravamo nei pressi del suo territorio, potevamo anche svagarci. La vera caccia doveva ancora arrivare. Inoltre, sosteneva, non c’era modo migliore di innervosirla e indurla a mostrarsi allo scoperto che tiranneggiare e provocarla, contestare la sua autorità. Io lo guardavo – e non capivo. Pativo il caldo, gli insetti, l’odore della pelle sudata della servitù, i vestiti che mi si appiccicavano addosso, i rumori che mi disturbavano il sonno, il cibo, l’acqua, ogni cosa. Era chiaro già prima di essere giunti a metà del nostro viaggio che avevo sbagliato a seguire Crooke in questa avventura. Inoltre, a mano a mano che ci avvicinavamo a destinazione, la paura aumentava tra la servitù. Si faceva sempre più intensa, persino palpabile. Qualcuno fuggiva, qualcun altro veniva scoperto nel tentativo di fuggire e fucilato. Assistevo al progressivo crescere della tensione tra i locali, e non potevo fare nulla. Bastava un passo falso per far scoppiare un putiferio.

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Quello che si sentiva raccontare riguardo la Bestia era assieme ridicolo e terrificante. Sovrana della foresta, era una creatura a cui si attribuivano persino poteri di metamorfosi e precognizione. La Bestia, se era interessata a te, sapeva chi fossi, dove abitassi, dove trascorressi le tue giornate. Sapeva cosa pensavi, cosa desideravi, cosa temevi. Se la Bestia era interessata a te, probabilmente era interessata a mangiare la tua carne. Per questo motivo, i locali preferivano non avvicinarsi al suo territorio. Non volevano che la Bestia scoprisse i loro segreti, e li usasse contro di loro. Man mano che ci avvicinavano, aumentavano le preghiere, i canti, le suppliche rivolte a lei. Presumibilmente, la Bestia era un grosso felino. Alcuni sostenevano fosse una pantera, per la sua abilità nel nascondersi nelle ombre; altri, più tradizionalmente, sostenevano fosse un leone, un leone molto feroce e particolarmente ghiotto di carne umana, alla testa di un branco di venti femmine. Questa teoria spiegava la sua smisurata voracità e la distanza tra i suoi avvistamenti, nel tempo e nello spazio. Alcuni invece sostenevano che fosse un semplice leopardo, o più di un leopardo. Alistaire Crooke sperava in una bestia grossa, cattiva, intelligente. Rifiutava con fare molto deciso tutte le teorie più razionali, comprese le mie. «Questa non è Londra, mio giovane amico – aveva detto una volta – qui bisogna imparare a convivere col mistero. Il mistero della natura, il mistero della vita. Niente che un gruppo di grassi riccastri gonfi di brandy possano capire» e sogghignava, lasciando intendere che i racconti che lo avevano reso celebre a Londra erano solo la punta di un grosso iceberg, e io non faticavo a crederlo. Ma non riuscivo a farmi coinvolgere nella superstiziosa frenesia verso un animale cacciatore e territoriale, intelligente e crudele, inafferrabile e sovrannaturale. Nella mia tenda, tuttavia, trascorrevo gran parte della notte con un occhio aperto. Anche perché c’era un’ultima teoria, ma se la sostenevi ad alta voce Alistaire ti sparava seduta stante: che la Bestia fosse uno stregone particolarmente malvagio, e che fosse già in mezzo a noi, sin dall’inizio del nostro viaggio, e aspettava solo il momento giusto per agire. Questo faceva sì che, pur non potendolo ammettere, ciascuno di noi guardava l’altro con enorme sospetto. Tutti tranne Alistaire.

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Eravamo molto vicini. Eravamo partiti con cento uomini, due barche e un certo numero di zattere. Adesso eravamo circa trenta persone. La barca ce l’eravamo lasciata alle spalle ed eravamo entrati nella foresta. La foresta rendeva tutti nervosi. Quella notte pioveva a dirotto sul campo. Avevamo montato le tende in fretta in furia. Attraverso la tela del mio alloggio da campo potevo scorgere le luci degli altri padiglioni e il fuoco allestito al centro. Il fuoco venne spento presto, perché la pioggia era troppo fitta, mentre le torce, protette dai tendaggi, furono lasciate a consumarsi. Mi misi a dormire che le luci erano tutte ancora ben visibili. Mi agitai per un po’, e infine presi sonno. Venni svegliato da rumori confusi, che poi sfociarono in urla e gran confusione. Mi alzai di scatto: le torce si spegnevano uno dopo l’altra, con estrema rapidità. Afferrai il fucile, mi infilai gli stivali e la giubba, ma restai dentro la tenda. La mia torcia, fuori, era ancora accesa. Poi, tra le urla nella lingua locale, sentii uno sparo, poi un altro, e una voce più familiare. Feci un grosso respiro, presi coraggio e misi la testa fuori. Alistaire era lì, praticamente nudo, con gli stivali e il fucile, che sparava e ricaricava. Il servo che aveva a fianco e gli passava proiettili e polvere da sparo aveva gli occhi fuori dalle orbite, e si continuava a girare, e girare, in preda al terrore più nero. «Fatti vedere! Mostrati, Bestia vigliacca!» Alistaire urlava e sparava, sparava e rideva. La gente era praticamente tutta fuggita via, le tende ribaltate e calpestate, c’erano un paio di corpi a terra, orrendamente mutilati, che giacevano in grosse pozze nere di sangue. «Se sei così potente, affrontami a viso aperta! Hai troppa paura?» Uno sparo «Coraggio!» Un altro sparo! La foresta si era fatta stranamente calma, e silenziosa. Poi, un lampo nel cielo, la sagoma di una creatura enorme. Un quadrupede, sicuramente. Un felino, probabilmente. Si è scagliato sul corpo di Crooke. Un colpo è partito, ma verso il cielo. Una zampata, e poi il muso è affondato con tutti i denti, scintillati, sul suo petto, squarciandolo. Poi di nuovo il buio. La creatura ha sollevato il capo enorme dal corpo dilaniato di Alistaire Crooke, e mi ha rivolto un’unica, intensa occhiata. Occhi scuri ma brillanti, rossi al pallido chiarore della luna. E poi, con un balzo, è sparito – così come si era palesato.

Epilogo

Sopravvissi alla notte. Tornai a Londra. I locali furono molto rispettosi. Pensavo mi avrebbero spogliato di ogni avere, e abbandonato lì. Invece mi hanno portato al primo porto, mi hanno messo su una nave, e io tornai a Londra molto rapidamente. Accettai di entrare nell’impresa famigliare, con un impiego contabile. Accettai di sposare una giovane di buona famiglia, che non possedeva nemmeno il riflesso del fascino della mia vecchia fiamma. Ma era una brava ragazza. Al Club ci andavo sempre più di rado, ma non potevo non andarci più: dovevo continuare a difendere la nostra reputazione. Di Alistaire Crooke non si parlò più. Ma una sera particolarmente vivace, mentre facevo il mio ultimo, concitato, brindisi, intravidi un uomo, in fondo alla ressa, mentre sollevavo il bicchiere. Aveva lunghi capelli neri, lisci e sottili, curatissimi, una compostezza sospetta, un fascino alieno. Mi lanciò una lunga occhiata, intensa. Mi bloccai per un secondo. Aveva occhi scuri, ma brillanti, di un colore che… no, non poteva essere. Bevvi, conclusi il brindisi, mi voltai per osservarlo meglio. Non era più lì.

2 thoughts on “Rigonia sogna: cuore di tenebra

    1. Francesco Rigoni says:

      Ce ne ancora una dopo, così. La trovi nell’archivio 🙂

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