Cari antidotisti, ascoltatori affezionati e casuali avventori,
È passato un anno (ma la mia percezione del tempo non funziona benissimo, e nemmeno la mia memoria) quando mi è stata lanciata la provocazione/sfida, l’invito, l’incoraggiamento a portare questa trasmissione all’episodio numero 100. Nel tentativo, che adesso possiamo finalmente dire riuscito, di raggiungere il traguardo, ho attraversato molti momenti personali e radiofonici.
Rigonia è nato come un esperimento zen di spontaneità, poi è diventata una forma di autopromozione, poi per un breve periodo è stata una trasmissione radiofonica che si prendeva abbastanza sul serio, poi un piccolo spazio personale di cui prendersi cura nel modo più adeguato alle energie e ai tempi a disposizione. Durante tutto questo tragitto, Rigonia è stato un percorso di autoterapia, personale e anche radiofonica.
Sul piano personale, si è trattato di attraversare i vari momenti della mia vita (rabbia, frustrazione, fatica, noia, ma anche esaltazione, successo, soddisfazione, gioia) e anche della vita della radio: dai primi tempi in cui il palinsesto era uno strumento fondamentale per organizzarsi e dare spazio a tutti, ai vari passaggi di testimone tra broadcasters, fino anche ai momenti di maggiore stanca, dove si trasmetteva quasi senza persone in ascolto. Ho vissuto l’assoluta esaltazione, quando un programma raggiungeva il picco e si creava il dialogo in diretta; ma anche la frustrazione quando certi episodi che mi sembravano riuscitissimi non ricevevano buoni riscontri. A volte la trasmissione mi è sembrata qualcosa che facevo per mia insistente ostinazione, tra l’indifferenza di tutti; e altre volte mi sono sentito colonna di questa che, più che un emittente, è un esperimento continuo, uno “spazio libero” come diceva qualcuno che non c’è più, un’occasione di sperimentare in più direzioni, soprattutto per chi, come me, ama la radio e vuole farla a modo proprio, senza compromessi. Ma non solo.
Sul piano radiofonico, mi sono confrontato con il tema delle tante possibilità che lo strumento offre. All’inizio, il piano era uno soltanto: accendi il microfono e fai come ti senti. Lascia perdere le scalette, i testi scritti, le opinioni fatte e finite e le presunte cose che avresti da dire. Entra in onda, mostrati – anche nudo, perché no. Era un periodo in cui stavo mettendo in discussione me stesso come creatore, creativo, artista, autore, persona capace di scrivere e desiderosa di esprimersi. Rigonia mi ha consentito di uscire da tutte queste etichette, di imparare a non curarmene, attraverso un’attività concreta, e cioè condurre un format di cui ero anche autore. Dopo poco tempo ho capito che non potevo stare senza una sigla e, perché no? Qualche buffo “jingleino”, una musica di sottofondo e un canovaccio di struttura (dopo la sigla iniziale e prima di quella finale, per esempio, inserisco sempre una canzone). Ho scritto dei racconti da leggere, ma la scrittura era uno sforzo che non ero in grado di reggere (e non avevo granché da dire). Ho invitato delle persone e le ho intervistate. Alcune delle trasmissioni migliori, forse tutte le migliori, appartengono a quel periodo. Ho usato lo strumento per raccontare persone e momenti della mia vita che reputavo importanti e che pensavo che forse nessuno avrebbe raccontato altrimenti: le doti e le menti dei miei amici termolesi di lungo corso, sparsi in vari punti di Europa, la mia passione per lo sport praticato e il suo potenziale di collante sociale, la bravura e l’impegno del mio amico Fabio Bruno; e ho anche investigato i temi della performance, dell’impulso a creare, della libertà creativa, delle condizioni ideali per realizzare un lavoro di espressione personale e di contro i problemi delle condizioni effettive con cui spesso si ha a che fare. Nel frattempo, era sopraggiunta l’estate, ero pieno di lavoro, faceva davvero molto caldo, e a un certo punto me ne sono andato al mare; infine, ho lasciato perdere questo tipo di contenuti. Ho capito che sarei stato in grado di produrne ancora molti altri, tutti belli, tutti interessanti; ma ho anche capito che questa attività, non per caso, è una professione vera e propria, e che io però faccio un altro lavoro (anzi: due).
Ho allora cercato di coniugare il mio desiderio di “disimpegno” con la mia naturale curiosità. Ho fatto quadrato attorno alcuni concetti chiave che appartengono a Radio Antidoto: la spontaneità, la libertà espressiva, il rifiuto di ogni rigida sovrastruttura e impalcatura organizzativa, il rispetto di poche e semplici regole (trasmissione di un’ora circa, l’utilizzo del palinsesto, della chat ascoltatori, del bot Shoutbox di Telegram per annunciarmi). Ho stabilito che l’unico audience di Radio Antidoto è l’audience di Radio Antidoto (con qualche minima eccezione). E ho deciso che quanto accadeva nella radio doveva restare nella radio. Ovvero: io trasmetto per voi, amici di Radio Antidoto, e chi vuole conoscere quello che accade tra di noi deve semplicemente avere la voglia e il tempo di seguire le nostre chat. Chi verrà a sapere di questo lavoro ed entrerà a far parte della comunità era evidentemente (pre?)destinato a farne parte.
A ogni modo, sono regole a cui non ho mai obbedito troppo talebanamente. Ho fatto sapere tramite i miei social personali quando gli episodi erano disponibili su questo sito ma ho avuto una relazione molto arbitraria con questi strumenti. Non c’era scritto da nessuna parte che io dovessi a tutti i costi e inevitabilmente promuovermi, sponsorizzarmi. Sentivo che non fosse quello il punto. E anche questo ha fatto parte del modo in cui ho “curato” il mio programma. Un programma che non viene ascoltato da nessuno è un programma che ha senso di esistere? Mi sono risposto che no, ma che il suo obiettivo non era raggiungere la più alta audience possibile. Ho sparso, tra i miei profili social e le mie piattaforme, i link alla cartella personale dove tengo stipati tutti gli episodi. E non è un caso che io non lo riporti nemmeno in questo articolo…
C’è il discorso anche delle musiche, e dei contenuti, della natura inevitabilmente piratesca dell’iniziativa. Esisteva un mondo, e io sono grato di averlo vissuto, in cui ci scambiavano le musicassette. Ne usavi una vergine per incidere sopra i contenuti di un’altra già incisa. Quella originale poi la restituivi, e magari succedeva che ascoltavi la musica nella stessa stanza con un tuo amico, o che parlassi di quella cassettina che ci si era scambiati in un terzo luogo. Rigonia ha deciso (appunto, un poco alla volta) di essere così: qualcosa che ci si scambia intimamente, che non si mette online perché tutto il mondo possa o debba vedere. È la cosa personale, tra me e te, nei nostri piccoli spazi quotidiani. Non appartiene all’ossessionata e ossessionante pioggia globale dei contenuti. Non funziona così, non doveva funzionare così. Non è necessario che ognuno di noi abbia visto ogni clip che sia mai stata prodotta su ogni gattino domestico che sia mai stato filmato.
Ma cosa fare, per rendere questo programma replicabile almeno fino alla sua centesima interazione? Ci voleva un’idea semplice, di rapida e facile esecuzione, ma sufficientemente interessante da poter suscitare curiosità in chi ascoltasse. E così, in verità, ho sfruttato esattamente quello che il web oggi ha da offrire: una produzione continua e ossessiva di contenuti di ogni genere. Ho usato YouTube come “specchio” degli argomenti delle trasmissioni, Bandcamp come grimadello per scardinare la tediosa abitudine a passare sempre le stesse canzoni, e soprattutto ho deciso che Rigonia, per andare avanti, doveva comunque continuare a stimolare me. Quindi, la cosa migliore da fare era prendere quelle cose che ero curioso di leggere, ma che non avevo mai tempo di aprire, e leggerlo in radio, senza revisioni editoriali, così come accadrebbe nella vita di ogni giorno. Praticamente, Rigonia è stato come sedersi sul cesso: apri il tuo browser, l’articoletto che cattura la tua intenzione e lo leggi. A modo suo, sentivo che anche questo fosse un esperimento. Da un lato c’era l’assoluta novità del contenuto (per tutti, me compreso), dall’altro il bisogno di rendere ogni lettura (breve o lunga, di svago o di approfondimento) radiofonicamente sostenibile, con l’utilizzo di musiche, incisi, stacchi, momenti di riepilogo e altri di riflessione. Tutto preparato sul momento (o al massimo poco prima di entrare in onda).
La riflessione però non è finita. C’erano argomenti che piacevano, e altri che no. C’erano opinioni che erano condivise, altre che no. Alcune altre ancora erano proprio invise. Mi sono dovuto confrontare con l’inevitabile volubilità e identità di un pubblico; e, sopra a questo, con la mia mancanza di una reale, concreta, solida, visione del mondo – e con il mio esplicito desiderio di non volerla. Per me il mondo è un luogo da esplorare nelle sue molteplici manifestazioni. Non sono nessuno per dire, senza ulteriore appello, cosa è giusto e cosa è sbagliato, e cosa nel mondo sia valido sempre e comunque e cosa invece non lo sia. Ho anche io le mie opinioni nette, ma valgono quanto quelle di chiunque altro. E questo penso sia giusto, normale, e faccia parte della vita in modo sacrosanto.
Attorno alla cinquantesima puntata ho deciso che Rigonia poteva essere due cose molto diverse allo stesso tempo: una trasmissione con una struttura che richiamasse la radio tradizionale, commerciale, che si ascolta abitualmente in FM ma anche uno spazio estremamente personale, dove la possibilità di approfondire e di non approfondire avessero la stessa proporzione, nel quale il racconto dei fatti miei oppure la puntata tematica potessero alternarsi a seconda di un unico indiscutibile arbitro: il mio capriccio. Dove potevo parlarvi delle mie vacanze, del mare in Sicilia, festeggiare il mio compleanno, leggervi un libro per intero, la recensione di un fumetto, o un commento di giornale su una notizia di attualità, su argomenti molto seri o molto faceti.
Per questo, poi, senza che nulla fosse davvero fatto in quella direzione, “Rigonia” è rimasta fedele al proprio nome. Un pianeta che appartiene solo a me, in cui abito solo io, dove io faccio sempre e solo quello che mi pare. Voi siete stati i visitatori di questo pianeta. A volte vi ha fatto piacere, a volte forse vi siete un po’ annoiati. Io vi sono grato di esserci stati, perché se non avessi avuto l’impressione di avere almeno una persona in onda ad ascoltarmi, ogni singola volta, non avrei avuto la forza di continuare. In linea di massima, questa è anche la ragione per cui il pianeta Rigonia è giusto che smetta di esistere, che deflagri, esploda, sia ridotto in cenere. Non può esistere un mondo dove una persona vive da sola e fa solo quelle che le pare. Una persona deve nutrirsi delle relazioni con gli altri, e deve anche saper accettare la presenza degli altri nella propria quotidianità, nelle opportunità ma anche nelle limitazioni. Detto questo, è tremendamente divertente e liberatorio avere uno spazio come Rigonia, soprattutto quando la messa in onda è stata portata avanti sull’onda dell’ispirazione.
Come ci si confidava scherzando in presentia a Cosio D’Arroscia, a cena in trattoria, la cosa più plausibile è creare una trasmissione del tutto identica, semplicemente con un nome diverso. Ma si sa: babbiannu babbiannu… Al termine di questa che ho inizialmente definito un’autoterapia, io posso dire di trovarmi perfettamente a mio agio a trasmettere su Rigonia, secondo le regole/non regole che ho stabilito. E sono estremamente a mio agio con l’idea che questa esperienza sia condivisa con poche persone, che si selezionano praticamente da sole, spinte semplicemente dalla curiosità e dal desiderio di ascoltare per il piacere di farlo. Non ho niente di così importante e rilevante da dire che debba raggiungere chissà quali uditorii, ma mi diverto molto a fare quello che faccio, e ho piacere se qualcuno condivide questo divertimento con me. Penso sia un bel modo per sprigionare energia positiva nella vita di tutti i giorni.
Mi concedo ancora una decina di episodi per decidere. Sicuramente arriveremo alla 110, che è un numero molto importante per me. D’altronde, ci sono ancora un paio di cose di cui vorrei veramente parlare. Prossimamente, di sicuro, parlerò dei libri e della scrittura, due temi a me molto cari. Oppure sarò troppo oberato di impegni e lavoro per trasmettere. Vedremo.
Voglio concludere dicendo questo: non sarà, in generale, una gran cosa arrivare all’episodio 100 di un format radiofonico, ma per me è un’enorme soddisfazione personale, un obiettivo che ritenevo importante per dimostrare qualcosa a me stesso riguardo a me stesso. È un’esperienza che metto nel mio portfolio personale delle “cose che ho fatto”, che mi riempie di orgoglio e che accresce la mia autostima.
Mando a tutti voi un grande abbraccio. È stato (e sarà ancora) per me un privilegio, e un gran divertimento, trasmettere per voi e con voi.
A presto,
Francesco Rigoni